“Tutto considerato fu una fortuna che Jimi Hendrix sia esistito: se non fosse esistito, chi avrebbe avuto la preveggenza di inventarlo? “ Charles Shaar Murray
C’erano una volta gli anni Sessanta. C’era Woodstock, la ribellione, l’estate dell’amore, i fiori attorno ai capelli, San Francisco, gli acidi, le chitarre… il mito della rivolta giovanile. Uno dei fenomeni più studiati e controversi del Novecento. Compresso, sfaccettato, difficile da individuare, soprattutto per ciò che vi fece seguito. Ma, tra i tanti proseliti, tra le tante difficoltà di questo immenso e complicato fenomeno sociale, a stagliarsi come pilastro non potremo mai dimenticare il nome di Jimi Hendrix.
Morto il 18 settembre del 1970, a 27 anni, James Marshall Hendrix, assieme a Jim Morrison, Janis Joplin e Brian Jones, scomparsi alla medesima età – la quale, abbiamo compreso avere ben poco di casuale nel mondo della musica – nel biennio che va dal 1969 al 1971, rappresentò il gonfaloniere di una generazione destinata a modificare per sempre la storia della musica e non solo.
Tamburi di ribellione
In questo nostro speciale, più che spendere delle parole sulla figura di Hendrix in sé, vogliamo ricordare ciò che egli rappresentò – e tuttora rappresenta – per la cultura e per la controcultura del Novecento.
“Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti. Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da subtopie, contadine o urbane che siano. Quanto a me, conosco assai bene il loro modo di esser stati bambini e ragazzi, le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui, a causa della miseria, che non dà autorità.” Pier Paolo Pasolini
Difficile pensare a una voce più autorevole e controversa in merito. Pasolini riassunse brevemente quello che il Sessantotto significò in Italia e non solo. Se negli Stati Uniti, la rivolta cominciò a manifestarsi già alla fine degli anni Cinquanta, grazie principalmente agli autori della beatgeneration, processati più volte per la scrittura “scandalistica” – AllenGinsberg, Neil Cassady e Lawrence Ferlinghetti su tutti –, nel Vecchio Continente fummo costretti ad attendere la metà del decennio, quando quello che sembrava un vento di cambiamento verso uno spregiudicato individualismo, si tramutò in una vera e propria corrente opposta al pensiero “bene” preminente dell’epoca.
Nei Paesi Bassi e in Baviera (Germania Ovest), due territori sonnecchiosi i cui fermenti culturali erano sempre stati sporadici, si svilupparono concetti nuovi, sia dal punto di vista artistico che economico. L’architettura totale olandese, unita allo sviluppo dell’economia di marca automobilistica nella DDR, mostrarono all’Europa il vento del cambiamento che proveniva dagli Stati Uniti. I Paesi Bassi portarono la nascita di una vera e propria controcultura, dove il concetto veniva premiato a scapito dell’estetica del bello. Un po’ quanto succedeva nel campo della pittura, della scrittura e, come detto, della musica.
If you’re going to San Francisco…
Negli Stati Uniti, invece, potendo vantare due poli culturalmente significativi, si svilupparono due differenti correnti di pensiero: quella filoeuropea di New York, dove la poesia, la pittura, la scultura e la musica, divenivano concettuali grazie alla Factory di Andy Warhol; e quella colorata e aggregativa di San Francisco.
Spinti dai poeti della generazione beat, con cui condividevano la predilezione per le droghe psicotropiche quali Lsd e Mescalina, i musicisti dell’area di San Francisco, diedero vita a una nuova stagione, esponendo concetti di amore libero, di rivalsa giovanile, di antirazzismo, e quant’altro. Tutto fu in larga parte favorito dal boom economico susseguente alla Seconda Guerra, il quale permise ai giovani di poter studiare nelle università, e, conseguentemente, di adottare un atteggiamento ostile verso le istituzioni.
Jimi Hendrix a Londra
Bob Dylan, cantautore folk, deciso a combattere anch’egli le istituzioni cui già si opponeva con i suoi testi, abbandonò la chitarra acustica in favore dell’elettrica al festival di Newport. Fu un tripudio. Il folk si fece aggressivo, elettrico e psichedelico, mescolandosi con il blues che proveniva in parte dalla stessa San Francisco e dall’Inghilterra.
C’era stata la British Invasion, la beatlemania, e i sudditi della regina Elisabetta, ispirati dagli americani, divennero famosi proprio in terra a stelle e strisce riportando a loro il blues che tanto successo aveva riscosso negli anni Cinquanta quando generò il rock n’ roll. Fu un continuo interscambio tra la cultura britannica e quella americana, tanto che la fama di Hendrix all’ombra dell’Union Jack non deve stupire.
“Il blues è facile da suonare, ma difficile da provare.” Jimi Hendrix
Avete esperienza?
Jimi Hendrix, infatti, ancora inizialmente legato a un blues più classico, suonato in power trio con il bassista Noel Redding e il batterista Mitch Mitchell, ebbe un iniziale successo in Gran Bretagna, forte del virtuosismo del suo chitarrista, nonché delle sue inimitabili abilità comunicative e del suo carisma.
Jimi Hendrix, pensate un po’, fino a un anno prima dell’uscita di Are You Experienced, primo album della sua Jimi Hendrix Experience, suonava la chitarra ritmica con Wilson Pickett. Ai concerti ci andava in smoking, non cantava e non faceva assoli. Il richiamo della ribellione, tuttavia, fu impossibile da annichilire, pertanto, deciso a migliorare la propria tecnica chitarristica, nel breve tempo finì per reinventarne totalmente i canoni.
Dalle birre di Londra agli acidi di Monterey
Era questo il pregio del primo Hendrix. Il suo blues non era ancora eccessivamente acido e i suoi sodali non lo seguivano quanto lui pretendeva – non ne fu mai realmente soddisfatto –, ma quel suo modo di suonare la chitarra non lo aveva mai visto né concepito nessuno. Non ci vollero neppure un paio di mesi per far dire «Jimi Hendrix è il più grande chitarrista di sempre» ai critici. Scalzò Eric Clapton nel cuore e nella mente di tutti.
Ma Hendrix non era solo un chitarrista eccezionale. Era un comunicatore, un divulgatore. Hendrix era stato colui che, in poco tempo, era riuscito a riportare il rock alle sue radici nere, di cui egli si faceva portabandiera. Le pantere nere lo vedevano come loro rappresentante, allo stesso modo di coloro che inneggiavano all’amore libero. Ancora sconosciuto in America, ne divenne un eroe quando impresse il nome della Experience al festival di Monterey. Fu in quel giugno del 1967 che nacquero il mito di Hendrix e dell’estate dell’amore.
A Monterey, Hendrix tramutò la sua chitarra in un prolungamento di se stesso. Fu una sinestesia. Vi mimò rapporti sessuali, la suonò dietro la schiena, con i denti e, infine, le diede fuoco con un sacrificio di stampo quasi biblico. Un’istantanea unica, qualcosa che lo consacrò nella storia. Un momento che ancora oggi lo connota e lo denota nella mente di ogni fan e non solo.
Hendrix e il “Potere nero”!
Axis: Bold as Love edElectric Ladyland furono i successivi due album della Experience. Due capolavori che, però, non permisero alla band di andare avanti. Hendrix soffriva sempre meno il bassista Redding, a suo avviso incapace di seguirlo – tanto che ne registrava linee di basso in sua sostituzione –, pertanto, al termine di una sequenza estenuante di tour, l’Experience cessòdi esistere. Il successo del chitarrista era, tuttavia, ormai consolidato e difficilmente scalfibile.
Nel 1969, sempre più spinto dai suoi ideali hippie, Hendrix rischiò anche il carcere per possesso di stupefacenti, e, convinto dal crescente urlo di protesta del cosiddetto «potere nero», decise metter su la Band of Gipsys con Billy Cox (basso) e Buddy Miles (batteria), entrambi afroamericani.
Fu l’anno di Woodstock, quando Jimi decise di suonare in modo parecchio cacofonico e provocatorio l’inno statunitense. Una scena che ancor di più lo consegnò agli annali. Il festival dell’amore libero, in quell’agosto, rappresentò a tutti gli effetti il culmine, l’apogeo di quella incredibile e controversa stagione.
“Vivevo in una stanza piena di specchi, tutto quello che riuscivo a vedere era me stesso.” Jimi Hendrix
La fine delle ostilità
E qui, finalmente, spieghiamo quella nostra introduzione sul Sessantotto europeo. Difatti, laddove la protesta europea nacque in ritardo e si consolidò in modo diverso, proponendo una versione più politica e concettuale, seppur sempre giovanile, negli Stati Uniti, essa si esaurì nel giro di un anno.
In Italia, in Gran Bretagna, nei Paesi Bassi, nella DDR, in Spagna e in Francia, in qualche modo, la stagione del Sessantotto diede il la al successivo fenomeno del riflusso, le cui accuse di «opportunismo», contribuirono allo svilupparsi degli «anni di piombo», soprattutto nel nostro paese (strategia della tensione), sotto la corona elisabettiana (con il primo ministro Margaret Thatcher) e, in minor misura, in terra teutonica.
Addio, anni Sessanta
Negli Stati Uniti, non appena Richard Nixon decise di ritirare le truppe dal Vietnam, la protesta degli hippie si tramutò nel movimento di liberazione sessuale dei «dudes» – anch’esso proveniente dall’Inghilterra –, per poi confluire nel periodo del Watergate e dei timori dovuti allo spionaggio interno.
“Nelle mani di Hendrix, la chitarra perdeva ogni corporeità, si copriva di una luce magica. A quel punto, ogni discorso sulla tecnica del suonare non vale più, ci si trova nel campo impalpabile dei “miracoli”.” Pino Daniele
Così, con una Nazione che pian piano vedeva perdere gli ideali dei propri giovani, Jimi Hendrix fu avvicinato nuovamente dagli inglesi, in particolare da tali Carl Palmer e Greg Lake, fautori di un gruppo musicale che si sarebbe dovuto chiamare HELP, ossia Hendrix, Emerson, Lake & Palmer. Solo Keith Emerson non era d’accordo al progetto perché non stravedeva all’idea di vedere il proprio talento solista alle tastiere offuscato dal carisma di Jimi.
Dopo che te ne sei andato
Nell’ottica del monito live fast and die young tipico del pensiero hippie, Jimi Hendrix esagerò con le droghe. Lo fece per tutta la sua carriera sino a che esse non gli furono fatali. Come avrebbe fatto Janis Joplin appena quindici giorni dopo, anche il chitarrista capace di riportare il rock alle sue radici nere, lasciò questo mondo a ventisette anni, al tramonto di una stagione irripetibile, di cui, indubbiamente, egli rappresentò uno dei simboli più fulgidi.
Una carriera incredibile, durata appena quattro anni, ma abbastanza intensa da consegnarci uno dei più grandi innovatori della storia della musica. Uno degli esempi più rappresentativi della seconda metà del Novecento. In tutto e per tutto, Jimi Hendrix.
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